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mercoledì 17 luglio 2019

FaceApp che fine fanno le nostre foto?

FaceApp ha fatto il botto: l'app che invecchia e ringiovanisce il nostro volto è diventata famosissima in poco tempo, con l'effetto di diventare un vero e proprio trend virale (effetto ricercatissimo da molte aziende che si occupano di app simili).

Migliaia di persone la stanno scaricando in questi giorni in modo da vedere come sarà il proprio viso tra qualche decina di anni, compresi i VIP come Leonardo Di Caprio e il presidente degli USA Donald Trump, che però ha postato il proprio volto ringiovanito.
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L'app è disponibile sia per i sistemi Android che per iOS e ha cominciato a circolare già dal gennaio del 2017, quando la società russa Wireless Lab la mise online per la prima volta per mano di Yaroslav Goncharov, il suo direttore. Certo, l'app è gratuita, anche se alcuni dei filtri in realtà sono a pagamento (3,99 euro al mese, oppure 19,99 all'anno o 43,99 per sempre), ma l'aspetto preoccupante non è quello economico, ma quello della sicurezza. Sì perché l'app non applica semplicemente un filtro alle immagini, ma applica alle immagini delle nostre facce dei processi gestiti da intelligenze artificiali che potrebbero anche funzionare da "schedatura", nel senso che potrebbero (l'autorizzazione la diamo noi installando l'app) catalogare chiunque conservandone la foto in una banca dati.
Risultati immagini per faceapp security
Quando elaborate un selfie con FaceApp, questo passa dai server dell’azienda, la russa Wireless Lab OOO, sede a San Pietroburgo. Per generare questi filtri, come la faccia che invecchia, si usano reti neurali generative avversarie, che devono girare su computer potenti, la potenza di calcolo di uno smartphone, insomma, non basta. La prova del nove? Se sei in modalità aereo, la app non funziona e ti segnala di collegarti a internet. Dimostra che l’immagine va sul loro server.

E su questi server le foto restano archiviate per un tempo indefinito, potenzialmente per sempre, perché la società, fondata e diretta da Yaroslav Goncharov, studi all'università di San Pietroburgo e un passato in Yandex (motore di ricerca russo), non si cura di dichiarare per quanto tempo le conserverà. Né dove. I dati “potranno essere archiviati e lavorati negli Stati Uniti o in qualsiasi altro paese in cui Faceapp, i suoi affiliati o i fornitori del servizio possiedono le infrastrutture”, si legge nella privacy policy.
FaceApp dichiara di avere base negli Stati Uniti. Su Google Play si fa riferimento a un indirizzo a Wilmington, città del Delaware (considerato uno dei paradisi fiscali Usa), dove la società immobiliare Regus appoggia “uffici virtuali” per aziende straniere che vogliono mettere piede nel continente americano. A occhio, senza avere una vera scrivania là, ma solo una casella di posta. Per la società di analisi di mercato Sensor Tower, solo a giugno 2019 FaceApp è stata scaricata 400mila volte e ha generato introiti per 300mila dollari.

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